L’economista, saggista statunitense e Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, afferma che: “Sviluppo non è uno strumento per aiutare poche persone ad arricchirsi. Significa trasformare le società, migliorare la vita dei poveri, dare a tutti una possibilità di successo e garantire a chiunque l’accesso ai servizi sanitari”. Niente di più vero.
Ormai siamo abituati a sentire parlare di tagli alla sanità da parte dei governi e delle amministrazioni locali e, allo stesso tempo, di riduzione degli investimenti nell’ambito delle strutture pubbliche di questo settore. Quando lo Stato ha bisogno di risparmiare e di fare “cassa”, il comparto sanitario e quello dell’istruzione sono sempre stati quelli più vessati. I risultati di questa visione per nulla lungimirante, si sono quanto mai visti in occasione dell’emergenza legata al Covid-19. Ogni euro speso in meno per la salute negli anni passati, ha generato un risparmio solo illusorio, trasformandosi poi invece in carenza di strutture e personale, in una maggiore spesa sanitaria, in servizi non all’altezza delle situazioni e in una coesione sociale fortemente pregiudicata.
Tutto ciò perché la salute non è considerata un investimento, ma solo un costo. Fin quando non si prenderà coscienza del contrario, non si potrà mai parlare di sviluppo sociale sostenibile. L’obiettivo 3 dell’Agenda 2030, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, prevede di assicurare la salute e il benessere a tutti e per tutte le età. Per percorrere quindi la strada dello sviluppo sostenibile, è quindi d’essenziale importanza garantire una vita sana a tutti e fare in modo che ogni singolo essere umano abbia le stesse possibilità di accesso alle cure e ai servizi sanitari.
Nonostante siano stati fatti notevoli progressi e miglioramenti per quanto riguarda le aspettative di vita, anche riducendo la mortalità legata a patologie che fino a qualche anno fa lasciavano poca speranza di sopravvivenza, persiste ancora nel mondo un grande divario per quanto riguarda i costi sanitari e in modo particolare l’epocale dramma della mortalità infantile in tante nazioni, molte delle quali non evidenziano particolari problemi economici. Solo per fare due esempi, ogni anno continuano a morire più di sei milioni di bambini prima del compimento del quinto anno d’età e il tasso di mortalità materna nelle regioni in via di sviluppo è ancora molto maggiore rispetto al tasso di mortalità materna delle regioni sviluppate.
Ma per capire quanto il problema dell’accesso ai servizi sanitari sia globale, proprio perché non inteso come un investimento ma un costo, non dobbiamo cercare solo tra i paesi in via di sviluppo. Basta guardare come funziona la sanità negli Stati Uniti, dove non tutti possono permettersi gli alti costi delle cure per moltissime patologie a causa di un sistema sanitario incentrato sul privato, trascurando in modo rilevante quello pubblico. Fin quando la salute sarà considerata un business, le aziende private detteranno legge e le persone benestanti potranno accedere alle cure a scapito della sanità pubblica e delle persone che vivono in condizioni economiche precarie. Invertire questa tendenza, significa far tornare l’essere umano e la sua salute ad essere fulcro sul quale creare una società coesa e sostenibile, rendendo la sanità non un costo o un comparto da ridimensionare continuamente, ma un investimento efficiente, efficace e trasversale.